I primi due album di John Frusciante

24 luglio 2013 § 4 commenti

Questo pezzo è dedicato a tutti quegli stronzi che, come Bill Hicks e forse Kevin Spacey in American Beauty, rimpiangono o (ri)vogliono l’epoca in cui si scriveva grande musica e grande letteratura quando e perché ci si drogava, ai tempi di Doors, Janis Joplin, Jimi Hendrix e altra gente che ha cacato il cazzo grazie a chi li tiene su un piedistallo e predica per riflesso condizionato l’uso creativo degli stupefacenti, dimenticando che i tempi cambiano (gli anni ’60 del XX secolo sono arrivati per fortuna una sola volta) ma la droga è per sempre e ignorando volontariamente tanto che esiste una cosa chiamata “produttore” quanto tutto quel che è venuto dopo, da Sid Vicious a Darby Crash, da Kurt Cobain a Amy Winehouse. Tanto a questi ci pensano le generazioni successive, con argomentazioni peggiori che il più delle volte coinvolgono anche artisti morti prima che tanti fanatici nascessero. Quando poi è necessario, Jaco Pastorius non se lo incula nessuno…

Cercherò di riassumere, ma so come sono fatto e so già che non ci riuscirò.
John Frusciante è un convinto hendrixiano destrorso che non suona una chitarra per mancini e, non potendo suonare per Frank Zappa (un uomo rettissimo che non ammetteva drogati nel suo entourage), ripiega sul sostituire l’amico Hillel Slovak, morto di overdose, nei Red Hot Chili Peppers, che diventarono una volta per tutte quella formazione né carne né pesce che conosciamo oggi: oltre a Frusciante abbiamo Chad Smith, che come la maggior parte dei batteristi sta là perché “è sempre una sistemazione”, pur potendo campare di rendita (forse) sul fatto che spesso e volentieri il suono della sua batteria viene campionato da non pochi gruppi hip hop; Michael Balzary, detto Flea, al quale basta fare due slap, muoversi come un epilettico e i fan si bagnano (mah); Anthony Kiedis, che canta molto peggio di Frusciante e in sostanza è un vero inetto, ma i Peppers hanno sempre avuto bisogno di un frontman, mai di un cantante. Può andarci anche Mark Kozelek e su disco sarebbe la stessa cosa. Se non conoscete Mark Kozelek, non leggetemi mai più.
Non è che John vada proprio proprio proprio d’accordo con tutti; forse il batterista se lo caga poco, giusto con Flea c’è quel feeling nel suonare e tutte queste cazzate che non escono da un tempo di 4/4 ma, quando tenta di parlare di (chenesò) Van Gogh, Anthony attacca subito che vuole far vedere il pesce al primo che capita, però in fondo va bene così: basta che si faccia musica, poi gli altri possono fare gli scemi quanto pare a loro.
I Peppers fanno Mother’s Milk e Blood Sugar Sex Magik, rendendo evidente a tutti, soprattutto con pezzi come Pretty Little Ditty (campionato poi dai Crazy Town, Dio li inculi) e Breaking The Girl, che le cose sono cambiate un casino dai tempi di Freaky Styley, ma a Frusciante il tutto non va giù. Vuoi perché in fondo è un tipo riservato, vuoi perché si sente circondato da cretini, vuoi perché gli interessa solo suonare ma gli chiedono sempre qualcosa in più, vuoi andare affanculo, per favore? Subito! E se ne va dai Peppers.
Mentre i Peppers continuano la tournée con un rimpiazzo, Enrico Brizzi scrive Jack Frusciante è uscito dal gruppo e ipotizza degli scenari in cui poteva essere coinvolto il chitarrista. Ho letto il libro troppo tempo fa per ricordarmi i dettagli, ma mi sa che non ne azzeccò una: infatti, John è dedito a qualsiasi tipo di droga e vive quasi da recluso in una casa che ha preso dopo che gli si era bruciata la prima con dentro tutte le chitarre e l’equipaggiamento e cazzi vari. Quando si fa intervistare da un’emittente olandese, nel 1994, è alla frutta: l’alimentazione e l’igiene gli sembrano sconosciute, tanto che riesce a torcere il suo corpo come poco prima di aver bisogno di un esorcista; il braccio è pieni di ascessi perché neanche a iniettare l’ago nella vena riesce. “No, ma sto benissimo. Anzi, mai stato meglio!”, cazzarola… Ha finito di scrivere e registrare, con un 4 piste, una mezz’oretta di musica iniziata quando stava registrando Blood Sugar Sex Magik, ha pensato: “Ma metti che muoio…” e ha registrato un’altra mezz’oretta-quaranta minuti di roba. Frusciante ha agito completamente da solo e in balia di se stesso, perché l’importante è non permettere che la bruttezza del mondo corrompa il candore della nostra anima, così che rimanga coscienza di Se stessi dicendo cazzate, me ne accorgerei e mi fermerei. E infatti mi fermo ora. Ma Frusciante di queste ne diceva a bizzeffe, appuntandole disordinatamente su pagine ingiallite e bruciacchiate qua e là dalle sigarette.

Il risultato è quel disco del 1994 che include due album e ne reca i rispettivi titoli: Niandra LaDes and Usually Just A T-Shirt, che suona un po’ come (ma forse è) una demo registrata con mezzi di fortuna.

Anche questo significa avere le idee chiare.

Anche questo significa avere le idee chiare.

Direte voi che anche Nebraska di Bruce Springsteen ha avuto una gestazione simile, senza droga e malessere e cose così. Sì, rispondo io, ma Springsteen poteva contare su un produttore e su vari ingegneri del suono che hanno ripulito le registrazioni da rumori di fondo e quant’altro.
Tra paragoni fuorvianti con Captain Beefheart e un po’ più azzeccati con Tim Buckley, Daniel Johnston e Syd Barrett, la scaletta del primo atto si sdipana canzone dopo canzone, stecca dopo stecca, svisata dopo svisata, svelando un uomo che non sta proprio malissimo, ma lì lì per precipitare. Frusciante sostiene che l’album è stato non registrato, ma pubblicato quand’era tossicodipendente e forse c’è da crederci, forse no: mentre è chiaro che alcune parti non potevano essere sovraincise in stato di alterazione, altre sono letteralmente fuori controllo, le urla strozzate, gli acuti impossibili, i nastri riprodotti all’indietro, un disperato bisogno di qualunque contatto umano, meglio se d’amore, anche se Your Pussy Is Glued To A Building On Fire. Il suono è talmente sporco e le pennate talmente severe che non c’è bisogno di una sezione ritmica (non c’è batteria per tutto il disco, il basso è presente solo in Mascara), si cerca di mettere ordine ai cocci, ma sono sempre cocci su progressioni di accordi che si ripresentano spesso.
Nel secondo atto, fatto di pezzi senza titolo, l’ordine ha spazio solo in poche parentesi: urla isteriche e distorte su pianoforti riprodotti al contrario, nenie riprodotte al rallentatore, facendo la fortuna di gente come The Everyday Film, prima che lo stesso pezzo venga suonato due volte a velocità di pochissimo differenti e che faccia capolino un’amica a fare da collante qua e là tra diverse situazioni. Il tutto dedicato a Clara, la figlia di Flea. Così, a cazzo.
Gli amici gli dicono di pubblicare questa roba perché in giro non c’è musica interessante, ma l’album vende poco e Frusciante decide di ritirarlo l’anno dopo. Stronzo. Salvo poi farlo ripubblicare a partire dal 1999. Così va meglio.

Si fa per dire: nel 1997, esce Smile From The Streets You Hold, un disco messo in vendita perché i soldi per la droga erano finiti.

No, vabbe'...

No, vabbe’…

Qui Frusciante dà l’impressione di non volerci provare nemmeno, sembra proprio non reggersi in piedi e non gliene frega niente di tutto: tracce di otto minuti in cui tossisce e scatarra, altre in cui si sente che l’eroina sta facendo cadere i denti, urla ancora più strozzate, acuti ancora più impossibili, progressioni sempre più identiche l’una all’altra, distorsioni sempre più accanite, River Phoenix che esce dalla tomba e canta, un bong a portata di mano, voci sempre più distorte, liriche sempre più sconnesse, suono sempre più sporco. Se non vi è piaciuto il disco precedente, questo sarà per voi peggio della peste, statene lontani.
Frusciante fa ritirare questo disco nel 1998. Ancora non è stato rimesso in vendita. Stronzo.

OK, ma a me sono piaciuti?, vi starete chiedendo. Sì. E anche tanto. D’accordo, più il primo che il secondo. D’accordo, poteva essere registrato meglio. D’accordo, poteva essere cantato meglio. D’accordo, poteva essere suonato meglio. Ma mettetevi voi nei suoi panni e ditemi: ce l’avreste fatta anche voi? Avreste avuto il coraggio di rompere definitivamente con tutto quel che è stato suonato e registrato prima, a costo di crepare da soli? I soliti cretini mi diranno che il poveretto era ridotto male, era inevitabile che il disco uscisse così, che le droghe vanno in funzione delle mode e dei tempi; io rispondo facendo notare per l’ennesima volta che i produttori sono fatti anche per tenere il drogato in piedi in tutti i modi possibili, dall’inchiodarlo contro il muro all’autotuner. Se magari smetteste di drogarvi anche voi…

Il resto è storia risaputa. Frusciante si ripulisce da tutto, si fa fare dei denti nuovi e si dà allo yoga, i Red Hot Chili Peppers cacciano a calci in culo Dave Navarro, riprendono John in formazione e registrano tre album di pallosità crescente in funzione del tempo: Californication, By The Way e Stadium Arcadium. Poi Frusciante si ricorda che era rientrato nei Peppers perché aveva dimenticato lì l’accendino quando se n’era andato la prima volta, lo ritrova e se ne va di nuovo. E ora siamo punto e a capo: i Peppers da una parte che continuano a fare cacare, Frusciante dall’altra che fa musica un po’ più normale e triste e boh, ma almeno non sta con i Peppers. Forse è meglio così.

Detto questo, il blog si prende una pausa estiva. Eh, oh…

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